Roma, Palazzo Falconieri - Via Giulia, 1
Il prossimo incontro virtuale programmato per lunedì 4 aprile 2022, ore 18.00, verterà sul romanzo Il sangue di San Gennaro /San Gennaro vére (Adelphi, 2010) di Sándor Márai e sulla sua attualità. L’evento potrà essere seguito in diretta streaming sulla nostra pagina Facebook.
Gli ospiti della serata saranno:
- Cinzia Franchi, professore associato di Lingua e Letteratura ungherese presso l’Università di Padova
- Judit Papp, docente a contratto di lingua e letteratura ungherese all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”
- Antonio D. Sciacovelli, traduttore, professore associato di Letteratura italiana e traduzioni presso l’Università di Turku – Finlandia
Citazione:
"Immagini due persone che si spogliano. No, non come si spogliano due amanti.. o forse sì, in parte... ma anche in un altro modo. Prima si tolgono i vestiti, tutto quello che è indumento. E a quel punto, come dire, la loro nudità può accrescersi all’infinito. L’esistenza che conduconono s’incarica di toglier loro, ogni giorno, un velo, uno schermo, uno strato di pelle... Senza fine. Devono spogliarsi della patria, della cittadinanza, del nome, del passato. Spogliarsi di una particolare menzogna, sì, della menzogna che loro stessi erano diventati vivendo nel proprio paese". (traduzione di Antonio D. Sciacovelli)
Risvolto copertina:
"A Pasqualino, perché aveva sei anni e ogni mattina portava giù l'immondizia, al pescatore monco, perché ammansiva il mare, a santo Strato, perché proteggeva il palazzo e i malati»: a loro Márai dedica il suo «romanzo napoletano», ambientato nella città dove visse dal '48 al '52, prima di partire per gli Stati Uniti. A formare il vasto coro, lacero e sgargiante, che commenta la vicenda intorno a cui è costruito il libro sono gli uomini, le donne e i bambini della città, con la loro miseria, il loro lerciume, la loro fatica di vivere e il loro orgoglio ancestrale di aristocratici; e le interminabili chiacchiere, le liti che scoppiano furibonde, teatrali, ritualizzate, da una finestra all'altra, i lutti non meno teatrali e urlati, i santi arcigni e polverosi dentro le teche di vetro – con la loro umanità piagata e ghignante. Un intero popolo che, fra tutte le possibilità, crede che «la più verosimile» sia il miracolo. Un giorno, dalle parti di Capo Posillipo, vanno ad abitare due stranieri, un uomo e una donna (inglesi? polacchi?): displaced persons, così li definiscono le autorità, profughi. Anche loro, almeno per un po', crederanno che lì possa avvenire il miracolo. Ma durante una violenta tromba d’aria si verificherà un evento che avrà il senso di una delusione assoluta, di una sconfitta inappellabile, poiché sancirà l'impossibilità di credere che ci sia un futuro per chi, in quanto esule, ha perso la propria identità. Alla fine, rimarranno il Vesuvio, il mare, e per ultimo il vento: «Li ho visti andare e venire, attraverso continenti e oceani, ma ho nascosto le tracce dei loro passi. Dove soffio io, non resta più nulla. Sono io che dico l'ultima parola. E poi verrà il silenzio".
Sándor Márai
L’11 aprile ricorrerà il 122. anniversaraio della nascita di Sándor Márai (1900-1989), indubbiamente uno dei più grandi scrittori del Novecento, noto e tradotto in tutto il mondo. La prima pubblicazione di Márai in Italia risale al 1938 quando Baldini&Castoldi (Milano) pubblica "Divorzio a Buda" (Válás Budán), tradotto da Filippo Faber, a cui seguirà nel 1941 la pubblicazione sempre dallo stesso editore di "L’amante del sogno" (Vendégjáték Bolzanóban), trad. Filippo Faber. Bisognerà attendere più di cinquant’anni per poterlo rivedere nelle vetrine delle librerie italiane, ovvero fino al 1998, quando l’editore Adelphi riscopre l’autore e ne pubblica “Le braci” (A gyertyák csonkig égnek), a cura di Marinella D’Alessandro, Milano, 1998, (Biblioteca Adelphi) e successivamente tutte le sue principali opere avvalendosi dell’aiuto di ottimi traduttori tra cui ricordiamo Marinella D’Alessandro, Laura Sgarioto, Krisztina Sándor, Giacomo Bonetti, Antonio Sciacovelli.