Omaggio a Zoltán Korda

Il 3 giugno ricorre l'anniversario di nascita di Zoltán Korda, pseudonimo di Zoltán Kellner (1895-1961) regista e sceneggiatore ungherese, naturalizzato britannico, meno noto del fratello maggiore Alexander. La Korda è tutta una famiglia di lavoratori al cinema, ma l’esponente più celebre è appunto Alexander. (Vincent era invece sceneggiatore).

Dopo gli studi commerciali a Budapest, lavorò come impiegato; prese poi parte alla Prima guerra mondiale e, nel 1918, dopo essere stato congedato in seguito alle ferite riportate, iniziò a lavorare nel cinema. Sin dal principio la sua carriera risulta pressoché inscindibile da quella di Alexander, con il quale fece le prime esperienze di regia, sceneggiatura e montaggio. Alla fine del 1919 l'intera famiglia, che era ebrea e apparteneva alla sinistra liberale, abbandonò il Paese. Korda seguì Alexander nei suoi molti spostamenti: a Vienna, dove lavorò come montatore e operatore per la Sascha Film (1919-1924); a Berlino, lavorando per l'UFA (1924-1927), dove diresse il suo primo film da solo “Die elf Teufel” (1927; Gli undici diavoli, un film muto); in Inghilterra, dove si ricongiunse anche al fratello minore Vincent, art director alla London Film Productions company. Qui si specializzò in film d’avventure coloniali eroiche e ingenue, con ambientazioni esotiche (molti dei quali furono girati in Africa o in India) prodotti dalla London Film Productions del fratello Alexander. Alla Mostra del cinema di Venezia vinse nel 1937 il premio per la regia, insieme a Robert J. Flaherty, con “Elephant boy”/La danza degli elefanti, e nel 1939 la Coppa della Biennale per “The four feath-ers”/Le quattro piume. Nel 1940, Korda raggiunse il fratello Alexander a Hollywood e cominciò a lavorare per la #UnitedArtists. Da quel momento Zoltan Korda non si muoverà più dalla California, dove diresse altri sette film, tra i quali certamente spiccano “Il libro della giungla” (1942) , “Sahara” (1943) con Humphrey Bogart e “Cry, the beloved country”/Piangi mio amato paese, basato sul romanzo di A. Paton. Quest’ultimo, tra i primi a denunciare il razzismo in Sudafrica, nel 1952 al Festival di Berlino ottenne l'Orso di bronzo.