l 31 gennaio del 2014 venne a mancare Miklós Jancsó, regista ungherese.
Il suo nome è legato soprattutto ai film realizzati tra gli anni Sessanta e Settanta, con stile basato sul piano-sequenza e ispirato a Michelangelo Antonioni, che Jancsó ha sempre considerato il suo maestro. Nel 1972 ha vinto la Palma d'oro per la miglior regia con Még kér a nép / Salmo rosso (1971) al Festival di Cannes.
Completa i suoi studi all’Accademia del Teatro e del Cinema di Budapest. Esordisce nel lungometraggio con A harangok Rómába mentek/ Le campane sono andate a Roma (1958), cui segue il più conosciuto Oldás és kötés/ Sciogliere e legare (1963), tratto da Cantata profana di Bartók, sulla crisi degli intellettuali che avevano subito, da parte dei sovietici, sia la liberazione del 1945 sia la repressione del 1956. Dopo Igy jöttem / Sono venuto cosí(1965) firma Szegénylegények / I disperati di Sándor(1965), che lo lancia sul piano internazionale. In questo primo film della trilogia sui momenti chiave della storia ungherese si mette in scena la repressione seguita ai moti del 1848. In Csillagosok, katonák/L'armata a cavallo (1967), ambientato nella Russia del 1918, ai tempi della guerra civile, i cavalieri cosacchi 'bianchi' inseguono i soldati 'rossi', tra cui vi sono anche degli ungheresi. Si mette in scena un'altra lotta fratricida in Csend és kiáltás / Silenzio e grido (1967), titolo che assembla programmaticamente un film di Ingmar Bergman e uno di Antonioni: ambientato nel 1919, descrive un ambiguo gioco di repressione, in cui un ufficiale bianco utilizza un contadino per snidare i soldati rossi, pur conoscendone bene i nascondigli.
Fényes szelek / Venti lucenti (1968), ispirato direttamente al Maggio ‘68 francese, diviene successivamente una rappresentazione teatrale.
I quattro film seguenti sono dedicati al potere fascista: Sirokkó (1969), Égi bárány / Agnus Dei (1970) e La pacifista (1970) - girato in Italia, sceneggiato da Giovanna Gagliardo (con cui Jancsó collaborò anche per i film successivi) e interpretato da Monica Vitti - che risulta un irrisolto compromesso tra lo stile astratto del regista e i canoni realistici del cinema italiano d'impegno civile. La tecnica e il rito (1971), girato per la RAI, è l'ultimo dei film sulle radici del fascismo ungherese. Tornato in Ungheria, Jancsó realizza Még kér a nép/ Salmo rosso, poi di nuovo per la RAI Roma rivuole Cesare (1972). Un'incursione nel mondo del mito e della tragedia viene intrapresa invece con Szerelmem Elektra / Elettra, amore mio (1974). Jancsó ebbe problemi con la censura per il suo film Magánbűnök, közerkölcsök /Vizi privati pubbliche virtù (1976), cui segue un'altra trilogia ispirata alla vita del politico ungherese Endre Bajcsy-Zsilinszky: Magyar rapszódia/ Rapsodia ungherese (1978), Allegro barbaro (1978), entrambi selezionati a Cannes. In A zsarnok szíve, avagy Boccaccio Magyarországon / Il cuore del tiranno (1981) girato in Ungheria, un principe del 15° sec. (György Cserhalmi), erede del trono magiaro, torna nel suo Paese con un buffone di corte (Ninetto Davoli), ma perde la memoria; gli intrighi di palazzo si intrecciano alla messa in scena di una novella di Boccaccio, divenuta metafora della situazione di un uomo che vive nel totalitarismo, senza avere nessuna influenza sugli eventi. I film che Jancsó realizza in seguito si allontanano dalle tematiche storiche e hanno ambientazioni contemporanee: sono improntati a un sostanziale scetticismo, sempre più accompagnato da un approccio ironico che diventerà la caratteristica predominante del suo ultimo periodo.
Tra gli altri film del regista ricordiamo: Hajnal/ L'alba (1985), Szörnyek évadja / La stagione dei mostri (1987), JézusKrisztusHoroszkópja (1988), Isten hátrafelé megy (1991), Kék duna keringő (1992), Nekem lámpást adott kezembe az Úr Pesten (1998), Utolsó vacsora az arab szürkénél (2001), Kelj fel komám ne aludjál! (2002).