ROMA VISIVA 2021 - Alla scoperta di talenti femminili dimenticati nell’arte visiva
Dimenticati o non adeguatamente indagati e celebrati, oppure emergenti: sono talenti femminili che hanno operato nel mondo dell'arte visiva, dall'Ottocento a oggi, mantenendo vivo il legame con la città e la sua storia, ad essere protagonisti di Roma Visiva 2021, rassegna che, dall'8 al 10 settembre alla Casa del Cinema, accenderà i riflettori su sguardi e voci di artiste nel loro rapporto con l’Urbe.
Vi segnaliamo un appuntamento della rassegna di riferimento ungherese: venerdì 10 settembre p.v. ore 16.30 “Ritratti Romani: lo sguardo fotosensibile di Ghitta Carell”, a cura di Lidia Giusto. A Cavallo degli anni Trenta e Quaranta del Novecento, la fotografa ungherese Ghitta Carell decise di aprire uno studio a piazza del Popolo e fu considerata l'interprete ufficiale del potere del periodo, eseguendo, tra i tanti, i ritratti di Pio XII, Mussolini, Sarfatti.
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Ghitta Carell Klein (Szatmár, 20 settembre 1899 – Haifa, 18 gennaio 1972[1]) è stata una fotografa ungherese naturalizzata italiana.
- Probabilmente di modeste origini, la giovane Ghitta Carell, ebrea ungherese in visita a Firenze nel 1924, decide di fermarsi in Italia e intraprendere la professione di fotografa. Illustri esempi provenienti dal suo paese – tra di essi Aladár Székely, Erzsi Landau, Olga Máté, Irén Werner – ne sollecitano l'ambizione, tanto che Ghitta, ribattezzatasi Carell per l'occasione (forse da Carei, Nagykároly in ungherese, un toponimo nei pressi della regione natale di Szatmár e ora in Romania, quasi a sintetizzare un predicato che alludesse a nobili origini), costruisce una propria indulgente biografia, con un presunto apprendistato prima a Lipsia e poi a Vienna. L'assidua frequentazione di una piccola colonia di artisti e intellettuali ungheresi in Italia, raccoltasi intorno allo scultore Márk Vedres a Fiesole, la introduce alla borghesia e soprattutto all'aristocrazia italiana.
- I primi ritratti fotografici alla principessa di Piemonte, Maria Josè, consacrano gli sforzi e la pervicace determinazione dell'ungherese. La tecnica non è un problema: la Carell utilizza un'attrezzatura tradizionale, per non dire vetusta – un grande macchina con cavalletto della ditta Luigi Piseroni di Milano – che impara subito a padroneggiare. Si tratta di un apparecchio con lastre di grande formato (18x24), all'occorrenza sostituito da più agili macchine portatili, ma sempre dello stesso formato. Qualche lampada e la corretta associazione tra tempi di posa e apertura del diaframma, proiettano l'indubbio talento della Carell nel mondo della fotografia, o meglio: del ritratto fotografico, con il quale sintetizza le esperienze che più l'hanno interessata, sia della fotografia che della pittura. Nella biblioteca della Carell si accumulano infatti, oltre a testi sulla tecnica fotografica, di ripresa, sviluppo e stampa, anche volumi illustrati sulla storia del ritratto. La Carell si sofferma sui tagli, le inquadrature, i particolari, l'uso delle luci, arrivando alla definizione di uno stile inconfondibile. Sulla lastra sono fissate quelle sembianze che pazientemente la fotografa ritoccherà al tavolino, con una apposito leggio e una serie di strumenti – matite, colori, pennelli, raschietti – che faranno sembrare il suo atelier più simile a quello di un pittore che di un fotografo. Del resto uno dei suoi maestri elettivi, forse frequentato in Ungheria, era József Pécsi (sicuramente in rapporto con Vedres), che all'inizio della sua attività, assai affine al gusto pittorico, non disdegnava la manipolazione espressiva dei negativi. La firma di Ghitta Carell e la data sulla stampa, a biacca bianca, inchiostro nero o a matita, vergati con l'inconfondibile calligrafia, siglano la perfezione del ritratto
- La frequentazione di Maria Josè prelude a una serie di rapporti molto stretti con altre due note personalità femminili del ventennio, anticonvenzionali e determinate, emancipate, dai caratteri e dalle ideologie anche molto distanti tra di loro, ma con alcuni tratti che li accomunano a quelli della stessa Carell. Si tratta di Margherita Sarfatti ed Edda Ciano Mussolini. La nota critica d'arte, teorizzatrice del Novecento, ebrea come la Carell, dal grande ascendente su Mussolini e quindi sulla politica culturale del Fascismo, e la figlia primogenita e prediletta dello stesso Duce, rivestiranno alla metà degli anni trenta un ruolo fondamentale per l'attività della Carell. Come già era accaduto con Maria Josè, saranno fotografate innumerevoli volte, in memorabili ritratti, da sole o coi figli. La Sarfatti la introdurrà al mondo degli artisti e probabilmente a quello degli architetti, Edda Ciano a quello dell'aristocrazia vicina al Regime; entrambe costituiranno il trait d'union che porterà la Carell ad approntare due campagne fotografiche per una serie di noti ritratti a Mussolini nel 1933 e nel 1937. In questo periodo fotografa anche esponenti del partito fascista, come il funzionario del Minculpop Annibale Scicluna Sorge.
- La promulgazione delle leggi razziali nel 1938 sconvolge la vita degli ebrei italiani e anche quella di Ghitta Carell. Non sarà perseguitata ma il suo ruolo e il suo nome inizieranno a essere censurati e omessi. La Carell trascorrerà in Italia gli anni della guerra, tra Roma e Milano, aiutata da alcune amicizie che si consolideranno in questo periodo. Nel dopoguerra continuerà la sua attività. Scompariranno dal suo orizzonte i tre numi di Maria Josè, Margherita Sarfatti ed Edda Ciano. La fotografa s'impegna in mostre e iniziative per promuovere il proprio lavoro, invero non più animato dallo stesso fervore e su cui tacitamente aleggia il ricordo – del resto ampiamente condiviso e nel suo caso drammaticamente espiato – del fascismo.
Gradatamente, nell'immaginario del pubblico, dei suoi vecchi e nuovi clienti e in un certo senso anche in quello della stessa Carell, la memoria dei ritratti di Mussolini cede il posto alla nota serie realizzata a Giovanni XXIII nel 1960. - Alla fine degli anni sessanta parte in fretta dall'Italia, dove nel 1959 aveva ottenuto la cittadinanza; ad alcune amiche ha lasciato il compito di liquidare arredi e attrezzature della sua casa-studio; l'archivio viene comprato dalla Ferrania – poi confluita nella 3M – che organizza nel 1970 una mostra a Roma e poi Milano. La Carell ormai è troppo malata per potersi muovere: morirà ad Haifa nel 1972. Per la mostra viene ristampata una selezione delle lastre. I ritratti dell'aristocrazia, dei borghesi, degli alti ranghi del fascismo incutono una certa diffidenza nella critica militante, che pur intuendo l'importanza del suo lavoro, ripiega sul fenomeno di costume, mondano, oppure lo sottopone, con rimandi di ascendenza marxista, a un'analisi sociologica indifferente alle tecniche e al magistero espressivo della fotografa. Signori d'Italia nei fotoritratti di Ghitta Carell (1978), La fotografia della maschera (1985), sono i significativi titoli di due piccoli volumi monografici dedicati al lavoro della fotografa ungherese, mentre la stampa si appropria dei luoghi comuni più suggestivi che la stessa Carell dispensava alla fine della sua vita: «non fotografo il volto ma l'anima».
- La bibliografia su Ghitta Carell si riduce quasi esclusivamente a una letteratura aneddotica ed encomiastica che comunque non si addentra nella sua reale vicenda biografica e artistica; solo recenti contributi hanno in parte riscattato questa protagonista della fotografia, tracciando le basi per uno studio approfondito ancora da compiere.