Le tradizioni cristiane e gli antichi riti pagani si fondono nel folclore e nelle usanze della Pasqua ungherese, le cui affascinanti consuetudini hanno conosciuto singolari variazioni di zona in zona geografica. Oggi sopravvivono nelle principali città e fortunatamente sono ancora molto vive in alcune aree del Paese, specialmente, nelle comunità rurali.
In Ungheria le più sentite e diffuse tradizioni pasquali sono, da remotissima data, la benedizione del cibo e la decorazione delle uova. Quest’ultima è un’usanza cui, fin dall’antichità, era attribuito, specie in primavera, un profondo significato. Secondo una credenza popolare, infatti, i misteriosi simboli dipinti sul guscio erano dotati di potere magico (la mano, la stella o la croce, per esempio, scacciavano le malattie e il maligno). Si è così diffusa, tra gli ungheresi, la consuetudine pasquale di appendere uova dipinte sulla porta di casa o ad alberi e a ramoscelli decorativi. Non per caso, quindi, tra i preparativi che caratterizzano i giorni precedenti la Pasqua, c’è in primo piano proprio la decorazione delle uova. Dopo averne fatto dei veri e propri capolavori di fantasia e colore, gli ungheresi le depongono in un grazioso cesto, poi collocato in bella vista sul tavolo, oppure le appendono su rametti di ginestra. A volte, le uova sono addirittura adornate da piccoli ferri di cavallo!
Uova sode accompagnano anche il piatto pasquale tradizionale, il delizioso prosciutto affumicato Húsvéti sonka (prosciutto pasquale), che si mangia solo in questo periodo dell’anno. Cioccolatini a forma d’agnello, coniglio e uova fanno invece la gioia dei bambini, cui si racconta la fiaba di un coniglietto, che verrebbe appunto a far loro dono di questi dolcetti. Molte famiglie, fra l’altro, amano sorprendere i più piccoli regalando proprio dei coniglietti o pulcini vivi. La presenza delle uova nelle tradizioni pasquali ungheresi ha molteplici significati. I padrini e le madrine, ad esempio, le offrivano in dono ai propri figliocci all’ingresso della chiesa, come simbolo di vita e risurrezione. Per i bambini ungheresi, invece, scambiarsi le uova decorate (hímestojás) era un modo simbolico per esprimere la loro amicizia. E quando i giovani volevano suggellare un legame importante, essi ricorrevano al “piatto dell’amicizia”, da far benedire: insieme alla bottiglia di vino e al grosso pretzel (pane a forma di treccia), non mancava mai una corona di uova decorate.
Il “Grande Sabato” (Nagyszombat) era, invece, il giorno della benedizione del cibo. Collocati in un paniere, si portavano in chiesa il kalács (pane dolce), il prosciutto affumicato, le “uova rosse” (cioè decorate di rosso, colore-simbolo della Resurrezione), il sale e, in alcune località, anche il vino. Questo cibo benedetto era consumato nel giorno di Pasqua, dopo la Messa, e fino a quel momento le uova benedette stavano riposte in un cesto pieno di fiori nella stanza più bella della casa. Nel giorno di Pasqua si mangiava anche carne, ovviamente. E che in Ungheria questo fosse considerato anche come giorno in cui si fa festa mangiando di nuovo carne, dopo quaranta giorni di digiuno, lo dice lo stesso termine ungherese usato per “Pasqua”: Húsvét. Da hús, che significa, appunto, carne.
Molto viva è ancor oggi, in Ungheria, la tradizione secondo la quale il Lunedì di Pasqua è giorno di gran festa per ragazzi e ragazze: le ragazze attendono con ansia l’arrivo dei ragazzi, i quali gettano loro addosso dell’acqua in segno di fecondità e nuova vita. Anzi, è soprattutto per questo singolare rito dell’annaffiamento (Locsolkodás) che in Ungheria si continuano a decorare le uova. Le ragioni stanno, va da sé, in un lontano passato. Infatti, il Lunedì di Pasqua era giorno di numerosi scherzi, che conoscevano forme prossime, addirittura, alla grossolanità. Accadeva, per esempio, che all’alba i ragazzi visitassero le case delle ragazze del villaggio e, dopo averle svegliate, le trascinassero letteralmente fino al torrente più vicino, per farvele immergere. Madre e sorelle erano le prime vittime designate, seguite a ruota da madrina e amiche. Era normale, per questi baldi giovanotti d’altri tempi, attendersi che le ragazze accettassero di buon grado questo scherzo e che anzi li ricompensassero con uova decorate, pane e vino. Ed era credenza diffusa che questo singolare “bagno” avrebbe trasformato le donzelle in prolifiche ed ottime mogli. Dal canto loro, le ragazze dipingevano 20 o 30 uova che avrebbero donato al ragazzo per il quale spasimavano, e ne dipingevano tante perché sapevano che il loro amato avrebbe potuto riceverne molte di più dalle altre pretendenti. Quanto al fortunato destinatario del dono, egli avrebbe dovuto, a sua volta, mettere da parte le uova ricevute per alcune settimane, dopodiché sarebbe stato suo compito controllarle tutte: l’uovo che avesse perso la maggiore quantità di colore, avrebbe indicato inequivocabilmente nella sua decoratrice la ragazza che più ardentemente desiderava il ragazzo. Generalmente, ogni villaggio aveva chi si occupava di decorare le uova (íróasszony). Si trattava, per lo più, di un’anziana signora, che aveva fatto questo lavoro per tutta la vita, e coloro che non sapevano dipingere avrebbero potuto chiedere a lei le hímestojás, cioè le uova decorate. Ancora oggi, soprattutto nei villaggi di campagna, il Lunedì di Pasqua i ragazzi colgono di sorpresa le fanciulle, bagnandole completamente con secchi o bottiglie piene d’acqua, al canto di stornelli di questo tenore: “Che bel giorno, che bel giorno, oh mio giglio, ti bagno per non farti appassire, acqua per la tua salute, acqua per la tua casa, acqua per la tua terra, acqua! Non urlare, non piangere, non scappare via: l’acqua è benefica!”.
In città, invece, la tradizione si è ingentilita, cosicché ai nostri giorni gli uomini e i ragazzi – e talvolta perfino i bambini – dopo aver chiesto il loro consenso (con una filastrocca breve, ma spiritosa) – spruzzano le ragazze con acqua di rose o con un profumo. Quale ricompensa, essi ricevono dalle fanciulle uova colorate, monete, un bicchierino di grappa o una fetta di dolce. (Fonte: Dalla fonte più pura)