112 anni fa nasceva Miklós Radnóti, da una famiglia ebrea; la madre morì nel partorirlo e così pure il fratello gemello; il padre morì quando lui aveva dodici anni. Dopo essersi diplomato in una scuola boema per il commercio tessile, si impiega nell’azienda dello zio, suo tutore. Nel 1930-34 compie gli studi universitari in filologia romanza e ungherese a Szeged, dove è allievo di Sándor Sik (poeta, teologo, filosofo, intellettuale cattolico) e dove partecipa alla fondazione del Circolo socialista dei giovani artisti di Szeged (Szegedi Fiatalok Művészeti Kollégiuma). Nel '35 sposa Fanni Gyarmati, con cui si era fidanzato quando aveva diciassette anni. Per le leggi razziali gli viene impedito di insegnare. Viene mandato per tre volte ai lavori forzati in vari lager in Ungheria e in Serbia, tra i soldati-prigionieri ebrei e comunisti. Viene ucciso nel novembre del '44 da militari nazisti ungheresi, insieme a ventuno compagni. Nel '46, quando il corpo viene riesumato da una fossa comune, si trova nei suoi abiti “Il taccuino di Bor”, con i versi scritti in prigionia.
Alla sua vita è stato dedicato nel '61 il primo musical ungherese, Un amore, tre notti (opera del drammaturgo Miklós Hubay, del poeta István Vas e del compositore György Ránki) e nell'89 il film Forced March (Marcia forzata) mai distribuito in Italia.
Come scrive Edith Bruck, Miklós Radnóti "rappresenta un caso unico nella storia della letteratura ebraica: il solo poeta che è riuscito a comporre anche all'interno del campo di concentramento dove era rinchiuso." I suoi ultimi versi prendono luce e intensità proprio dalla condizione in cui sono stati scritti.
Così Cecilia Malaguti: “Conscio della intenzione dei nazisti di disumanizzare, depersonificare i prigionieri, l'intellettuale nel lager si raccoglie in se stesso. Il soggetto lirico, rinserrato in questa sua autonomia, è sospeso in uno spazio astratto, quasi ideale, tanto da sembrare distillare la propria esperienza e la realtà tutta, trasferire la propria parola sul piano di una contemplazione e conversazione che sfiora il sublime.”
Tra le sue raccolte di poesie più note ricordiamo: “Pogányköszöntő” (Saluto pagano, 1930); “Újmódi pásztorok éneke” (Canto dei nuovi pastori, 1932); “Lábadozó szél” (Il vento convalescente, 1933); “Újhold” (Novilunio, 1935); “Járkálj csak, halálraítélt!” (Cammina pure, condannato a morte, 1936); “Meredek út” (Strada ripida, 1938); “Ikrek hava” (Nel segno dei gemelli, 1940); “Tajtékos ég” (Cielo schiumoso, postumo, 1946).
Radnóti è stato un abile traduttore di vari poeti europei, soprattutto tedeschi (Ivún Goll) e francesi (G. Apollinaire, J. La Fontaine). Ne pubblicò un'antologia: Orfeus nyomában (Sulle tracce di Orfeo, 1943).
In Italia sono state pubblicate diverse antologie dei versi di Radnóti: nel '58 “Poesie scelte” (Edizioni Fussi, a cura di László Pálinkás e Umberto Albini); nel '64 “Ora la morte e un fiore di pazienza e altre poesie”, traduzione di Edith Bruck e Nelo Risi (estratto da n.33/1964 de L'Europa letteraria); sempre nel '64 “Scritto verso la morte” (D’Urso, traduzione di Marinka Dallos e Gianni Toti); del '95 “Ero fiore sono diventato radice” (Fahrenheit, traduzione di M. Dallos e G. Toti); nel '99 “Poesie” (Bulzoni, traduzione di Dell’Agense e Anna Weisz Rado); nel 2009 “Mi capirebbero le scimmie” (Donzelli, traduzione di Edith Bruck). Nel gennaio del 2019 è stato inoltre pubblicato il volume fotografico di Emanuele Mascioni: “Il taccuino di Bor” (Digid’a Roma) con alcune poesie inedite in italiano di Radnóti scritte appunto nel suo taccuino e tradotte da Edit Bruck, presentato nell’ambito dell’omonima mostra presso l’Accademia d’Ungheria in Roma.
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